sexta-feira, 13 de abril de 2012

Io non sono un animale incivile.

Mais de um mês longe do meu blog e sem justificativas para isso, preguiça talvez. Para compensar essa demora trago um dos post mais importantes,se não o mais, de todos que aqui estão e virão. No centro de saúde mental que trabalhei (pois é, já se foram meus 3 meses) adquiri grandes amigos usuários do serviço, entre eles, um em especial chamado Pino. Pino é usuário do serviço há uns bons anos, muito engajado e  grande articulador de discussões no campo da saúde mental, antes de minha partida de Trieste, perguntei se ele poderia me escrever um texto expondo sua visão sobre a saúde mental de Trieste. Ele aceitou com muita alegria e ao me entregar disse: "Eu escrevi o texto com um único objetivo: passar uma mensagem de esperança". Postarei o texto original em italiano e logo menos em português. Aí vai: 

Io non sono un animale incivile
Io sono i miei pensieri e le mie parole, sono l'ambiente che mi circonda, sono questa società. Questa società controversa, troppo indifferente e superficiale.
Io sono il mio disaggio mentale, quello che ero e quello che sarò.
Io guarirò.
Vorrei che si sapesse che io ero una persona in grande difficoltà, più e più volte ho toccato il fondo, più e più volte mi sono aggrappato con tutte le mie forze ad un filo apparentemente impercettibile che si chiama speranza anche quando sembrava che essa non esistesse più. Ho sbagliato più e più volte. Sbaglierò ancora, ma non ho più paura.
Io guarirò.

Per uscire dalla crisi abbiamo bisogno di strumenti, attrezzi indispensabili per cambiare, per cominciare una vita possibile, soprattutto nel sottile e difficile passaggio dallo stare e vivere male, allo stare e vivere meglio/bene. Momenti faticosi, che vanno affrontati, sostenuti, corroborati con la fiduccia e con la speranza.
Si tratta di riempire un vuoto, costruire un'oggettività/identità possibile, dove "io sono io e non il disaggio mentale". Un gioco continuo, dove gli strumenti servono per cambiare e i cambiamenti diventano nuovi strumenti. una persona sedata non può fare male, ma neanche bene.

COSÌ BASAGLIA

"La cura di qualsivoglia malattia, del corpo e della mente costa fatica, una fatica che con l'aiuto adeguato si può sostenere, e tuttavia non è quella fatica a spaventare. Quello che spaventa è quello momento che viene subito dopo. Quando una persona comincia a stare sufficientemente bene per potersi arrischiare dentro la vita, la quotidianità, la cosidetta normalità. Avendo vissuto per tanto tempo dell'altra parte della barricata, non si sa ancora, come si fa a stare in questo nuovo gioco dove tutto è possibile e proprio per questo estremamente pericoloso"

Mi piacerebbe tanto iniziare a tracciare un percorso che possa farci intravedere la luce della guarigione.

La guarigione non è necessariamente liberarsi dei farmaci, liberarsi di un servizio, liberarsi da un psichiatra o uno psicologo.
La guarigione è la libertà di scegliere la nostra strada, di trovare un lavoro, una compagna, degli amici. La guarigione è poter assistere a un bel concerto o uno spettacolo teatrale. La guarigione è sconfiggere lo stigma che ancora esiste nei confronti di chi vive questa esperienza. La guarigione è sostituire la parola "TOLLERANZA con ACCETAZIONE". La guarigione è fare in modo che non vi siano contenzioni, abusi farmacologici, manipolazioni psichiche.
Guarigione è un'alleanza tra chi usufruisce dei servizi e chi fornisce quei servizi.
Guarigione è l'abolizione dell'istituzione manicomiale, della violenza psichica e fisica, dell'indifferenza.
Impazzire si può, guarire si può.

Può essere un sogno, un'utopia o semplicimente una direzione.
Il punto di partenza?
Lo racconta un'amica, Alice Banfi, autrice del libro, autobiografico, "Tanto scappo lo stesso":

"Era il 2004, me lo ricordo bene. raramente venivo ricoverata nell'SPDC della mia città.
Ero ricoverata in una comunità riabilitativa vicino a Torino. Giravo tutti i reparti del Piemonte e dintorni. Fui mandata lì, ancora lì. Cerano molte facie conosciute più qualcuna nuova.
Un ragazzo cinese, Matteo Su, piccolino di statura, parlava in modo sconnesso e veloce.
Era spaventato e agitato, sembrava un bambino, suscitava in noi altri pazienti una grande tenerezza.
Veniva spesso in camera mia a guardarmi disegnare e a chiedermi in prestito dei pennarelli.
Una volta tornò con in mano un disegno per me, pieno di colore. Aveva disegnao dei fiori e sopra ci aveva scritto "per Alice". Era coccolato e protetto da tutti...Tutti noi.
Ai tempi non sapevo dei diritti del malato, non sapevo nemmeno che ne avessimo. Ora so che uno dei diritti del malato è quello di essere chiamato col proprio nome e cognome.
Qualche infermiere chiamava Matteo "Cin Cin" o "Cinciunlà" e cose del genere...
Questo perché Matteo era cinese, perché non poteva e non sapeva difendersi.
Un pomeriggio tardi stavamo in quattro a chiacchierare, vicini all'infermeria: in piedi con noi c'era anche Matteo.
Sara, un'infermiera, lo chiama per l'ennesima volta con uno stupido sopranome: "Ehi, Cinciunlà datti una calmata!" Matteo reagì: Io mi chiamo Matteo!!! e batteva i piedi per terra, mentre ripeteva con forza il suo nome.
Sara si voltò, lo guardò, lo indicò con la mano e il braccio teso, e forte disse: Fly down.
Matteo smise subito di parlare, smise di battere i piedi. lei continuò: Abassa la cresta, vola basso.
Matteo si mise in ginocchio.
"Bravo, sempre più basso".
Matteo si accasciò a terra, con le braccia protese in avanti, sul pavimento.
"Ecco ora striscia!"
E Matteo cominciò a strisciare, con la faccia sul pavimento. Strisciava come un verme verso il fondo del corridoio.
L'infermiera si voltò dell'altra parte, ed entrò in infermeria, chiudendosi dentro."

Cosa si può dire?
Cosa pensare?
Cosa fare?

Credo sia doveroso lavorare sodo, unirsi: Noi pazienti, voi operatori. Tutti insieme dovremmo cercare di cambiare le cose, potenziare il servizio di  psicoterapia ed eliminare qualsiase forma di contenzione, fisica e psichica.

Era questo che Basaglia aveva in mente?

Questo scritto che mi è stato chiesto è ina grande opportunità, per conoscerci unire le nostre voci, per provare a continuare a costruire, migliorare, criticare. È una possibilità. È una delle tante possibilità che la vita ci metterà a dispozione.
Noi dobbiamo lottare giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, per vivere/esistere.
Non dobbiamo permettere/delegare a nessun altro che sia esso operatore sanitario, famigliare o associazione di volontariato di scegliere/decidere per noi, ma collaborare con loro e non aver paura di parlare.

Se sei stato male ed ora stai meglio, sii grato per l'opportunità che ti è stata offerta.
Se stai ancora soffrendo, sappi che se troverai persone umane, sensibili, altruistiche, amiche, avrai per certo una seconda opportunità. Se non la trovi o non la vedi, cambia il cammino. Il mondo è vasto, immenso, ricco di opportunità.

Se sei un fruitore dei servizi, sappi che noi siamo stati quelli in difficoltà.
Noi siamo quelli sotto esame della società.
Possimao accettarlo o no, possiamo nasconderci o reagire, dimostrare il nostro valore.
Dimostrare che siamo guariti o che stiamo meglio o spiegare schiettamente quelli sono le radici dei nostri mali.

Aiuta gli altri, fallo soprattutto per te.
Pino da Trieste"

segunda-feira, 27 de fevereiro de 2012

Falar ou não de sofrimento

           A coisa que mais me surpreendeu aqui foi a falta de espaço para falar de si, das angústias, dos medos, assim como das conquistas e das maneiras de driblar pensamentos que consomem o cérebro de boa parte dos usuários dos serviços de saúde mental. Foi estranho chegar em um serviço onde não há muito espaço para falar de sofrimento.
Essa é a forma deles trabalharem.  Até aqui, nos quatro centros de saúde mental que tive a oportunidade de acompanhar, esse espaço simplesmente não existe. O psicólogo, ao meu ver, acaba ficando sem uma ação muito definida: não são feitas conversas privadas entre usuário e psicólogo, muito menos com a família do usuário, que pouco participa do processo.
O encontro com o psiquiatra dura minutos e é feita rapidamente, pois, como no Brasil, a correria nos centros é grande. Segundo os usuários a conversa é somente sobre a medicação. Mais uma vez, não há tempo para falar de si.
Na verdade, penso que não há interesse em entrar nesse assunto, pois falar de sofrimento é como abrir a porta de um quartinho sujo, antigo e cheio de "tranqueiras". Deve-se bagunçar tudo, limpar coisa por coisa, para depois dar início a arrumação. É cansativo. Exige tempo, atenção, dedicação e uma energia a ser dada ao próximo que não é fácil.

Cerati, Gorizia 1968, Ospedale psichiatrico
       No centro em que estou, participo de um grupo diário e, neste espaço, quando algum dos usuários tenta falar de si e de seus sofrimentos, a psicóloga, também coordenadora do grupo, imediatamente intervém e diz que aquele não é espaço para falar de sofrimento. É difícil ver e lidar com isso sem poder intervir. Principalmente porque os usuários constantemente dizem sentir falto desse espaço. 
      A dinâmica daqui, até onde percebi, é conseguir que as pessoas estejam inseridas socialmente.  Que tenham casa e emprego. Feito isso, está tudo certo. Funciona desse modo. As pessoas são assistidas e realmente participam dos diversos circuitos sociais. Isso, talvez, compense um pouco essa falta para alguns.
       Para os que sentem necessidade de uma atenção e de um espaço para trabalhar tudo o que passa em sua mente, resta pagar por uma terapia ou psicoterapia, o que está fora do circuito da saúde pública. Aqui, a opção mais barata de algum desses serviços custa 80 euros e, com esse preço, nem todos podem pagar e muito acabam ficando sem esse que, para mim, é um dos espaços importantes nos cuidados da saúde mental.
       Dessa forma, Trieste se faz diferente do Brasil. Tenho dito que muitas coisas daqui se contrapõem às do Brasil, e é daí que se agrega muito aprendizado desse estágio.

Cerati, Gorizia 1968, Ospedale psichiatrico

quarta-feira, 15 de fevereiro de 2012

Gli utenti

   Os centros daqui, como dito no post anterior, não são repletos de atividades, por exemplo, no que eu estou, tem um grupo de leitura de jornal toda manhã, um de dança e outro de pintura, sendo ambos uma vez na semana. No resto do período, a circulação pelos usuários se faz em função de passar em consulta com o psiquiatra, pegar a medicação e fazer a refeição. Para fazer a refeição, não basta ser usuário, deve ter a indicação e estar no projeto terapêutico, até onde eu sei. Acho isso ótimo, pois se o acesso é livre, seriam poucos que se colocariam a ir a um restaurante, a um bar ou a fazer ir ao mercado para fazer a própria refeição. No CAPS-III que estagiei em São Paulo, todos usuários podiam almoçar e tomar o lanche da tarde lá, isso fazia com que muitos se centralizassem lá pelo centro a espera dos horários intitucionais do café, do remédio, do almoço, novamente do remédio e, por fim, do lanche da tarde. Nisso, o dia já havia passado e a vida se passava naquele espaço.

Venturini, Trieste 1984, CSM di Domio - la mensa presso l'EZIT, Ente Zona Industriale di Trieste

 Os usuários 
    Como em todo lugar de saúde mental, tem aqueles que estão todos os dias no centro, fumando seu cigarro, abordando pessoas da equipe para saber da medicação x e recepcionando quem chega e quem sai. Nessas duas semanas, pude perceber duas diferenças bem interessantes e marcantes em relação à autonomia* e ao posicionamento que os usuários assumem frente a um profissional da equipe. 
  *Ao falar de autonomia, tenho em mente a concepção de proposta por Roberto Tykanori (atual cooredenador de Saúde Mental do Min. da Saúde) de que uma dependência restrita, limita as possibilidades de ações e diminui a autonomia, dessa maneira, a autonomia se faz conforme se amplia as dependencias, pois assim obtem-se mais possibilidades de estabelecer escolhas e ordens para a vida.
    Dessa forma, muitos usuários circulam pela cidade, dividem casa com um outro usuário (muito comum aqui), possuem bolsa-trabalho em alguma cooperativa (muito forte aqui na Itália), pagam suas contas, vão ao mercado etc, possuem um cotidiano que não se limita ao centro de saúde.
   Sobre o posicionamento, é muito comum ver usuário se confrontando profissional e deixando claro suas vontades, direitos e opiniões, mas aqui vejo que o jeito italiano contribui, pois esse confronto vem tanto do lado dos usuários como dos profissionais. É comum ver um falando alto com o outro, falando o que pensa, numa conversa clara e, às vezes, sincera e rígida demais por parte dos profissionais, ao meu ver. Falo isso porque ainda não vi um espaço para se pensar meio termo, em outras propostas, negociar.
    Quando comparo com o Brasil, vejo que os profissionais brasileiros (em geral) possuem mais sutileza e sensibilidade na abordagem com o usuário. Pode ser que isso seja uma diferença cultural, que confronta com o modo italiano de ser, e essa é uma dificuldade que tenho e que talvez permaneça até minha partida, a de saber o que são posturas da cultura italiana e o que é ou deveria ser a postura que o serviço  de saúde mental daqui.


Butturini, Trieste 1973-1977, Bar del manicomio, l'attuale bar "Posto delle Fragole"

sexta-feira, 10 de fevereiro de 2012

Superficial

    Hoje contarei algumas coisas básicas, mas de interesse para quem pretende vir para cá. No meu próximo post conto um pouco sobre a primeira semana aqui (muito intensa, como tudo na saúde mental).
   
    Começando do começo:
   Chegar em Trieste não foi fácil para mim. Levei muito tempo para encontrar a pessoa responsável por organizar a vinda dos voluntários e estagiários e quando encontrei houve uma mudança de regras com o jogo rolando, sabem? Quase desisti de vir, quase surtei, mas depois tudo deu certo. Para quem quiser o contato dessa pessoa, me deixa o email que repasso.
   Uma outra coisa para quem está com intenção de vir, comece um curso de italiano. Como estagiário aqui você já não é muita coisa, sem saber italiano você não será nada.
    Ao chegar aqui:
    Aqui em Trieste tem dois lugares para os estagiários, um é uma casa imensa, antigo centro de saúde mental   San Vito (onde eu estou) que cabem 8 pessoas, tem quardo indivídual e para duas pessoas. O outro fica no antigo hospital Psiquiátrico San Giovanni. São três apartamentos indivíduais com cozinha e banheiro em cada um deles. Toalha e roupa de cama garantidos nos dois lugares, e almoço e jantar nos centros de saúde.
   Como funciona o período de estágio:
   Até 2011 podia vir e ficar até um ano aqui, agora em 2012 as coisas estão mundando. O período de estágio é de 3 meses e há boatos de que comecem a cobrar algum valor pela moradia. Trieste possui 4 centros de saúde mental (CSM) que funcionam de uma maneira muito próxima aos CAPS-III. São distribuídos por região e serão referência das pessoas que habitam naquela determinada zona. São eles: Domio, Barcola, Madalena e Gambini. Funcionam 24hs, todos os dias da semana, possuem de 6-8 leitos, com uma equipe composta por psicólogos, psiquiátras, assistentes sociais, enfermeiros e técnico da reabilitação (profissão que desempenha um papel similar ao da terapia ocupacional). Funciona também a "porta-aberta", ocorre o acolhimento, possui refeitório (onde profissionais e estagiários podem almoçar também) e reunião de equipe todos os dias. Essas são as grandes semelhanças. Vamos para as diferenças mais notáveis, os CSM, até onde eu percebi e tendo como referência o que estou, não possuem uma agenda cheia de atividades, gurpos ou oficinas como no Brasil. Na verdade, muita coisa é feita no território com um impressionante trabalho em rede. No centro que estou possui um grupo de leitura de jornal matinal e diário, um de pintura e um de dança, ambos semanais. Isso é o superficial.
    Claudia, pessoa responsável pelos estagiários, é quem escolhe onde cada um ficará. Quando decidido seu lugar, ela entra em contato com alguém do serviço que fica responsável por te auxiliar lá.
    Para não ficar cansativo, páro aqui e vejo se escrevo um pouco mais no domingo. Agora vou para um bar assistir um show da "La Grande Orchestra", uma orquestra composta por usuários, profissionais da SM e por mais quem quiser tocar, delíiiicia!
    Butturini, Trieste 1973-1977, I Padiglioni si svuotano - graffiti delle femministe e letti dei reparti chiusi buttati via - San Giovanni

segunda-feira, 6 de fevereiro de 2012

Sono arrivata a Trieste!

        Sou estudante de Terapia Ocupacional, recém formada pela Universidade de São Paulo, com grande paixão pelas relações que a nossa mente faz com o mundo e com si próprio.
       Diante disso, depois de uma longa e trabalhosa trajetória, consegui chegar em Trieste para fazer um estágio/trabalho voluntário nos serviços de saúde mental daqui.
       Esse blog servirá como meu diário de campo, onde pretendo expor a minha experiência desse lugar que transformou o modo de lidar com a loucura, servindo de inspiração para diversas políticas de saúde mental em alguns países, como no Brasil.
       A vontade de fazê-lo já era forte antes de chegar, pois sempre ouvi muita coisa de Trieste no boca a boca como "uma experiência fantástica"; "você vai para lá para ver a merda que está?"; "um mês é suficiente para conhecer os serviços"; "Brasil está muito a frente, agora são eles que tem que aprender com a gente"; "em Trieste o trabalho no território acontece"................... entre muitas outras coisas que ouvia, mas que pouco vi escrito, documentado ou partilhado em artigos, livros e teses.
       Encontrei muito sobre o que foi, mas nada sobre o que é. E é isso que tentarei fazer aqui, passar a minha vivência na saúde mental de Trieste no ano de 2012.

Trieste 1973 gen/marzo, Laboratorio "P" - il Paradiso Terrestre: Marco Cavallo nasce - referendum per la scelta del colore del cavallo - San Giovanni